mercoledì 18 luglio 2007

La polemica su Hamas: quel che Fini non sa

Umberto De Giovavvangeli. l'Unità. 18/07/07. Rivela Massimo D’Alema: «Il promotore della tanto contestata lettera dei ministri degli Esteri dei dieci Paesi euromediterranei al nuovo inviato speciale del Quartetto Tony Blair, non era stata predisposta da un pericoloso fondamentalista bensì dal ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, ministro del governo del tanto acclamato Nicolas Sarkozy». Il «nuovo corso francese» sperimenta la strada del dialogo anche sull’altro esplosivo fronte mediorientale: quello libanese. Mentre in Italia si polemizza sulla necessità del dialogo, un dialogo critico, anche con i movimenti islamo-nazionali, al castello di La Celle-Saint-Cloud, sotto l’egida della Francia, va in scena la conferenza per il dialogo nazionale libanese fra i diversi partiti del paese dei Cedri.

Tra questi partiti, su espressa sollecitazione di Sarkozy (dichiarato modello politico per il leader di An Gianfranco Fini) e Kouchner, c’era anche Hezbollah, il movimento sciita che gli epigoni nostrani della fallimentare «guerra preventiva» vorrebbero trattare in un solo modo: con la forza. Ma torniamo alla «Lettera dei Dieci»; in quella lettera, ricorda D’Alema, c’era un punto, quello che sollecita un lavoro comune per la ripresa del dialogo tra Fatah e Hamas, che «viene sollecitato da un leader arabo tra i più impegnati nel processo di pace: il presidente egiziano Hosni Mubarak». Massimo D'Alema svolge queste considerazioni davanti a mille persone, l'altro ieri alla Festa nazionale dell'Unità sulla politica estera a San Miniato. Riflessioni alla luce del sole. Che oggi il titolare della Farnesina riprenderà, puntualizzandole, nel suo incontro a Roma con il neo inviato speciale del Quartetto (Usa-Ue-Onu-Russia), l'ex premier britannico Tony Blair.

«Hamas - rimarca D'Alema - si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare. È una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese», e quindi, sarebbe sbagliato «regalare ad Al Qaeda movimenti come Hamas o Hezbollah». Dovrebbe essere «interesse della comunità internazionale evitare di spingere questi movimenti nelle braccia di Al Qaeda»: le considerazioni di D'Alema scatenano la reazione sdegnata del centrodestra e vengono «tritate» nello stantio minestrone delle polemiche interne. Vale invece la pena far parlare sull'argomento chi ha più esperienza diretta, e voce in capitolo. Come Shlomo Ben Ami, che fu ministro degli Esteri d'Israele nel biennio 2000-2001, durante il governo di Ehud Barak (Labour). In quella veste Ben Ami partecipò, con un ruolo di primo piano, ai negoziati di Camp David e alla conferenza di Taba. Riflette Ben Ami nel suo libro «Palestina. La storia incompiuta. La tragedia arabo-israeliana» (Corbaccio, 2007): «La reazione alla supremazia del governo Hamas non deve consistere negli sforzi a isolarlo e quindi a rovesciarlo, ma piuttosto in un serio tentativo di iniziare a valutare le ragioni profonde che conducono alle democrazie islamiche e, piu' importante, a trattenersi dal giudicarle attraverso i soliti cliché».

E ancora: «Israele e Occidente - sottolinea Ben Ami, che è stato anche ambasciatore in Spagna, e come tale membro della delegazione israeliana alla Conferenza di Pace di Madrid, nel 1991 - devono dare una possibilità al nuovo governo Hamas. Fin dagli anni 90. Hamas si è imbarcato in un difficile viaggio dal jihadismo alla partecipazione politica, e va incoraggiato. È un errore vederlo come un'organizzazione fanaticamente monolitica e con una rigida visione manichea degli affari nel mondo...» Così un intellettuale e politico di primo piano dello Stato ebraico che, è bene ricordarlo, nel suo trascorso pubblico ha ricoperto anche gli incarichi di Capo della delegazione israeliana nei colloqui multilaterali sui rifugiati e di ministro per la Sicurezza pubblica.

«Il modo più incisivo per rafforzare la leadership di Abu Mazen e circoscrivere l'influenza di Hamas, è di procedere con decisione ad un negoziato di pace che porti ad un accordo globale tra le parti»: un altro tasto sul cui il capo della diplomazia italiana ha piu' volte battuto, e che trova alimento nella riflessione di Khaled Hroub, intellettuale laico palestinese, direttore dell'Arab Media Project presso la Cambridge University, autore di «Hamas. Un movimento tra lotta armata e governo della Palestina» (Bruno Mondatori, 2006): «Ritengo che Hamas sia la naturale conseguenza delle innaturali e brutali condizioni di occupazione. Il suo radicalismo dovrebbe essere interpretato come logico e prevedibile risultato del processo di colonizzazione messo in atto da Israele in Palestina». «I palestinesi - aggiunge Hroub - stanno dalla parte di qualunque movimento abbracci la causa della resistenza contro l'occupazione israeliana e prometta di difendere il loro diritto alla libertà e all'autodeterminazione. In questo momento storico, essi vedono in Hamas il garante di questo diritto…».

Un diritto che nulla a che vedere con il Jihad globalizzato evocato, e praticato, da Al Qaeda. Il cui obiettivo resta quello indicato nella «Dichiarazione del fronte islamico mondiale per la Guerra Santa», firmata il 23 febbraio 1998, fra gli altri, da Osama Bin Laden e dal suo vice, Ayman al-Zawahri: «Chiamiamo, se Dio lo permette, ogni musulmano credente e desideroso di essere ricompensato da Lui a ottemperare all'ordine di Dio e a uccidere gli americani e saccheggiare i loro beni, ovunque si trovino e in ogni momento». Questo è il programma di Al Qaeda, che mira a fare di Palestina e Libano un'unica trincea jihadista, assieme all'Iraq. Se così è resta sul tappeto la questione cruciale posta da D'Alema: come evitare di spingere Hamas nelle braccia di Al Qaeda. La Francia di Sarkozy ha dato una risposta. Ma i fans italiani di «Nicolas l'innovatore» fanno finta di niente.

http://www.unita.it/view.asp?idContent=67541

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