Trattare con Hamas. Senza precondizioni. Ricordando che in passato «abbiamo trattato con nemici molto più pericolosi» come fu l’Egitto prima di firmare la pace di Camp David. Trattare con Hamas. Un tabù infranto. A farlo sono i più grandi scrittori israeliani contemporanei, il cui appello pubblico rivolto nei giorni scorsi al primo ministro Olmert ha scatenato polemiche dentro e fuori Israele. Meir Shalev è uno degli undici firmatari dell’appello. All’Unità lo scrittore spiega le ragioni di questa iniziativa.
Trattare con Hamas. Per averlo ipotizzato, il ministro degli Esteri italiano D’Alema è stato accusato di fiancheggiare i terroristi.
«Amico dei terroristi: anche Rabin fu accusato di esserlo per aver osato stringere la mano al "capo dei terroristi", Yasser Arafat. Ma un grande statista è quello capace di andare controcorrente e sfidare, se è il caso, anche pregiudizi e senso comune. Non è chiedendo gli occhi di fronte alla realtà che riusciremo a costruire un futuro migliore».
Guardando al campo palestinese, qual è questa realtà alla quale Israele non deve voltare le spalle?
«È una realtà che dice che non si può mettere fuorilegge metà dei palestinesi. È una realtà che sottolinea come un accordo di pace per funzionare non può essere raggiunto con metà di un popolo. È una realtà che ammonisce sulle conseguenze disastrose, anche per gli interessi di Israele, dell’esplodere di una guerra civile generalizzata nei Territori. Con Hamas è necessario parlare non solo per liberare Ghilad Shalit (il giovane caporale israeliano rapito 16 mesi fa ai confini con la Striscia di Gaza, ndr.) ma per raggiungere un cessate il fuoco totale al fine di prevenire ulteriori sofferenze da entrambe le parti. Nel nostro appello (firmato tra gli altri anche da David Grossman e Abraham Bet Yehoshua, ndr.) abbiamo sostenuto, ricordato, che la pace si fa con i nemici».
Coloro che vi accusano di avventurismo sostengono che è improponibile parlare di trattativa con un nemico che dichiara esplicitamente che vuole la distruzione di Israele.
«Le stesse argomentazioni furono addotte per contestare, purtroppo non solo a parole, la scelta di Rabin di avviare una trattativa con i "criminali dell’Olp". In passato abbiamo trattato con nemici ben più pericolosi di Hamas: mi riferisco all’Egitto prima che firmasse la pace di Camp David. Con Hamas dobbiamo trattare un cessate il fuoco totale: non deve sbocciare un amore impossibile ma è possibile, quanto meno auspicabile, stringere un "matrimonio" d’interesse».
Trattare con Hamas. Ma con quale obiettivo?
«L’obiettivo è quello di un cessate il fuoco incondizionato. Se si ritiene che sia poca cosa, per favore lo si spieghi agli abitanti di Sderot martellati di continuo dal lancio di razzi Qassam dalla Striscia di Gaza. La fine degli attacchi da entrambe le parti porterà sicurezza ai cittadini del Neghev e diminuirà la sofferenza dei cittadini della Striscia di Gaza. Trattare con Hamas per raggiungere un cessate il fuoco è nell’interesse di Israele».
Ma potrebbe non esserlo per Abu Mazen.
«Non sono di questo avviso, anzi, ritengo che sia vero il contrario. Un cessate il fuoco con Hamas darebbe al processo politico maggiori possibilità di avere successo. Un successo che dipenderà molto da come Olmert intenderà muoversi in vista dell’incontro internazionale promosso a metà novembre dagli Usa. Nel nostro appello, non chiediamo a Olmert la luna, gli chiediamo di non perdere questa occasione e agire per giungere ad un accordo con il presidente Abu Mazen e i leader dell’Olp».
Domani (oggi per chi legge, ndr.) Olmert e Abu Mazen torneranno a incontrarsi. Il presidente palestinese insiste per giungere alla Conferenza con un accordo di principio tra Israele e Anp.
«Condivido questa esigenza perché sono convinto che l’incontro di novembre deve rappresentare un passaggio chiave per arrivare in un tempo ragionevolmente breve ad un accordo di pace globale tra noi e i palestinesi. A Olmert chiedo coraggio e lungimiranza. Spero che ne sia in possesso. Sui singoli punti di un compromesso sostenibile è già tutto scritto. Non è la fantasia progettuale a dover essere esercitata ma la volontà politica».
Vorrei tornare su Hamas. Perché dovrebbe essere interessato ad un cessate il fuoco?
«Perché Hamas è qualcosa di più complesso di un gruppo armato che fa della lotta ad oltranza contro Israele la sua unica ragion d’essere. Se fosse così non si spiegherebbe il successo elettorale ottenuto in elezioni libere meno di due anni fa. Sbaglia chi declina Hamas come uno dei tanti tentacoli della "piovra" jihadista in Medio Oriente. Hamas ha interesse ad allentare la pressione su Gaza e a porre fine all’embargo internazionale, perché solo così potrà mantenere in vita quella sorta di Welfare islamico che ne garantisce il radicamento sul territorio».
I contestatori di questa tesi affermano che Hamas non abbandonerà mai la lotta armata e la pratica terroristica perché è questa la linea imposta dal suo sponsor iraniano.
«Chi afferma questo commette un grave errore. Hamas non è guidato da Teheran ed è sempre attento a proclamare la sua identità: quella di un movimento di liberazione nazional-religioso che come tale è disposto a collaborare ad hoc con tutti coloro che condividono i medesimi interessi. Il suo radicamento nel territorio gli impone di adattarsi alle circostanze più che restare ancorato agli ideali originari, è soprattutto per questo che Hamas ha vinto le elezioni, non solo per il richiamo al verbo estremista. Ed è proprio per questa sua natura che Hamas continua a rappresentare un argine alla penetrazione nei Territori di una ideologia e di una pratica ben più pericolosa e devastante: quella di Al Qaeda. Una ragione in più per provare a celebrare questo «matrimonio d’interesse».
Trattare con Hamas. Per averlo ipotizzato, il ministro degli Esteri italiano D’Alema è stato accusato di fiancheggiare i terroristi.
«Amico dei terroristi: anche Rabin fu accusato di esserlo per aver osato stringere la mano al "capo dei terroristi", Yasser Arafat. Ma un grande statista è quello capace di andare controcorrente e sfidare, se è il caso, anche pregiudizi e senso comune. Non è chiedendo gli occhi di fronte alla realtà che riusciremo a costruire un futuro migliore».
Guardando al campo palestinese, qual è questa realtà alla quale Israele non deve voltare le spalle?
«È una realtà che dice che non si può mettere fuorilegge metà dei palestinesi. È una realtà che sottolinea come un accordo di pace per funzionare non può essere raggiunto con metà di un popolo. È una realtà che ammonisce sulle conseguenze disastrose, anche per gli interessi di Israele, dell’esplodere di una guerra civile generalizzata nei Territori. Con Hamas è necessario parlare non solo per liberare Ghilad Shalit (il giovane caporale israeliano rapito 16 mesi fa ai confini con la Striscia di Gaza, ndr.) ma per raggiungere un cessate il fuoco totale al fine di prevenire ulteriori sofferenze da entrambe le parti. Nel nostro appello (firmato tra gli altri anche da David Grossman e Abraham Bet Yehoshua, ndr.) abbiamo sostenuto, ricordato, che la pace si fa con i nemici».
Coloro che vi accusano di avventurismo sostengono che è improponibile parlare di trattativa con un nemico che dichiara esplicitamente che vuole la distruzione di Israele.
«Le stesse argomentazioni furono addotte per contestare, purtroppo non solo a parole, la scelta di Rabin di avviare una trattativa con i "criminali dell’Olp". In passato abbiamo trattato con nemici ben più pericolosi di Hamas: mi riferisco all’Egitto prima che firmasse la pace di Camp David. Con Hamas dobbiamo trattare un cessate il fuoco totale: non deve sbocciare un amore impossibile ma è possibile, quanto meno auspicabile, stringere un "matrimonio" d’interesse».
Trattare con Hamas. Ma con quale obiettivo?
«L’obiettivo è quello di un cessate il fuoco incondizionato. Se si ritiene che sia poca cosa, per favore lo si spieghi agli abitanti di Sderot martellati di continuo dal lancio di razzi Qassam dalla Striscia di Gaza. La fine degli attacchi da entrambe le parti porterà sicurezza ai cittadini del Neghev e diminuirà la sofferenza dei cittadini della Striscia di Gaza. Trattare con Hamas per raggiungere un cessate il fuoco è nell’interesse di Israele».
Ma potrebbe non esserlo per Abu Mazen.
«Non sono di questo avviso, anzi, ritengo che sia vero il contrario. Un cessate il fuoco con Hamas darebbe al processo politico maggiori possibilità di avere successo. Un successo che dipenderà molto da come Olmert intenderà muoversi in vista dell’incontro internazionale promosso a metà novembre dagli Usa. Nel nostro appello, non chiediamo a Olmert la luna, gli chiediamo di non perdere questa occasione e agire per giungere ad un accordo con il presidente Abu Mazen e i leader dell’Olp».
Domani (oggi per chi legge, ndr.) Olmert e Abu Mazen torneranno a incontrarsi. Il presidente palestinese insiste per giungere alla Conferenza con un accordo di principio tra Israele e Anp.
«Condivido questa esigenza perché sono convinto che l’incontro di novembre deve rappresentare un passaggio chiave per arrivare in un tempo ragionevolmente breve ad un accordo di pace globale tra noi e i palestinesi. A Olmert chiedo coraggio e lungimiranza. Spero che ne sia in possesso. Sui singoli punti di un compromesso sostenibile è già tutto scritto. Non è la fantasia progettuale a dover essere esercitata ma la volontà politica».
Vorrei tornare su Hamas. Perché dovrebbe essere interessato ad un cessate il fuoco?
«Perché Hamas è qualcosa di più complesso di un gruppo armato che fa della lotta ad oltranza contro Israele la sua unica ragion d’essere. Se fosse così non si spiegherebbe il successo elettorale ottenuto in elezioni libere meno di due anni fa. Sbaglia chi declina Hamas come uno dei tanti tentacoli della "piovra" jihadista in Medio Oriente. Hamas ha interesse ad allentare la pressione su Gaza e a porre fine all’embargo internazionale, perché solo così potrà mantenere in vita quella sorta di Welfare islamico che ne garantisce il radicamento sul territorio».
I contestatori di questa tesi affermano che Hamas non abbandonerà mai la lotta armata e la pratica terroristica perché è questa la linea imposta dal suo sponsor iraniano.
«Chi afferma questo commette un grave errore. Hamas non è guidato da Teheran ed è sempre attento a proclamare la sua identità: quella di un movimento di liberazione nazional-religioso che come tale è disposto a collaborare ad hoc con tutti coloro che condividono i medesimi interessi. Il suo radicamento nel territorio gli impone di adattarsi alle circostanze più che restare ancorato agli ideali originari, è soprattutto per questo che Hamas ha vinto le elezioni, non solo per il richiamo al verbo estremista. Ed è proprio per questa sua natura che Hamas continua a rappresentare un argine alla penetrazione nei Territori di una ideologia e di una pratica ben più pericolosa e devastante: quella di Al Qaeda. Una ragione in più per provare a celebrare questo «matrimonio d’interesse».
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