GERUSALEMME — Cella 28, ala 3, prigione di Hadarim. «È il nuovo indirizzo della Mukata », ironizzano i vicini di carcere. Da qui è passato in visita il primo ministro Salam Fayyad, qui vengono per consultarsi il capo dell'intelligence Tawfik Tirawi o Akram Haniya, consigliere di Abu Mazen. Che della Mukata, il palazzo presidenziale, è l'inquilino ufficiale.
Dalla cella 28, Marwan Barghouti è riuscito a rimanere il leader palestinese più influente. Arrestato dagli israeliani nel 2002 e condannato il 6 giugno del 2004 — il giorno del suo compleanno — a cinque ergastoli, è chiamato Napoleone per la piccola statura e le grandi ambizioni. È lui che un anno fa ha elaborato il «documento dei prigionieri», un accordo tra il suo Fatah e Hamas, il testo che ha portato alla nascita del governo di unità nazionale. Il piano è andato in frantumi con la vittoria militare dei fondamentalisti a Gaza. «L'esecutivo formato assieme al Fatah— commenta — ha rappresentato un'occasione per Hamas. Il movimento avrebbe potuto rafforzare il suo ruolo nel mondo arabo e ottenere legittimità internazionale. Ma ha rovesciato il governo e ha commesso l'errore strategico più grave, da quando è stato fondato vent'anni fa. È la prima volta nella storia palestinese, che una delle fazioni realizza un colpo di Stato contro l'autorità legittima».
Lo Shin Bet lo considera «l'architetto del terrore » della rivolta scoppiata nel settembre 2000. Il laburista Benjamin Ben-Eliezer, ministro israeliano per le Infrastrutture, spinge invece perché venga rilasciato in uno scambio con Gilad Shalit, il caporale dell'esercito rapito nel giugno dell'anno scorso. «È il miglior interlocutore che possiamo avere per raggiungere un accordo di pace».
Nell'intervista — le risposte sono state dettate durante un incontro nel parlatorio della prigione con l'avvocato Elias Sabbagh — Barghouti spiega come i palestinesi possano tentare di uscire dalla crisi.
È possibile una riconciliazione tra Hamas e il Fatah?
«Prima Hamas deve restituire la Striscia di Gaza al controllo di Abu Mazen, garantire che non userà più la forza e la violenza, riconoscere il governo temporaneo indipendente e accettare le elezioni anticipate. Quando dico restituire, intendo tutto quello che hanno sottratto: palazzi, documenti, veicoli. Questo è il primo passo, perché i palestinesi non hanno altra scelta che la riconciliazione».
Ismail Haniyeh, premier deposto da Abu Mazen, ripete di rappresentare il governo legittimo, dopo la vittoria elettorale nel gennaio 2006.
«Nessuno nega che Hamas abbia ottenuto la maggioranza in parlamento. E' una parte importante del movimento palestinese.
Ma dopo il golpe a Gaza, la situazione è completamente cambiata. Hamas deve accettare il ritorno alle urne per vedere se la gente li sostiene ancora.
Sono sicuro che il Fatah vincerebbe».
In molti chiedono che il Fatah si riformi e soprattutto ringiovanisca.
«Dobbiamo rinnovare i nostri leader. Aprirci alle donne, ai giovani, ai docenti universitari. E dobbiamo chiederci quali errori abbiamo commesso a Gaza».
Teme che l'isolamento possa spingere Hamas verso Al Qaeda?
«Hamas si è isolato da solo, quando ha deciso di prendere il controllo della Striscia con la forza. Nessuno tra i palestinesi li sta isolando. Al contrario, il Fatah ha fatto sforzi enormi perché partecipassero alla vita politica».
Hanna Siniora, intellettuale e politico palestinese, ha detto: «Dopo quarant'anni sotto il dominio di Arafat, abbiamo dimostrato di non essere abbastanza maturi per condividere l'autorità ».
«È chiaro che le fazioni palestinesi non hanno compreso a fondo il valore della democrazia. La prova sta in quello che ha fatto Hamas. Bisogna costruire una cultura della democrazia, aprire un dialogo interno, rafforzare le istituzioni. Democrazia non significa solo votare alle elezioni, ma riconoscere la sovranità della legge e riuscire ad accettare le posizioni degli altri, senza voler imporre la propria egemonia. Il primo problema resta l'occupazione israeliana: deve finire perché i palestinesi possano realizzare uno Stato democratico».
Sempre Siniora ha sostenuto che lo scontro tra Hamas e Fatah segna la fine del progetto nazionale palestinese.
«È uno scontro distruttivo. Tutt'e due le fazioni stanno perdendo e la gente paga il prezzo. Hamas ha diviso la terra e spezzato in due l'autorità, così ha messo la nostra causa in pericolo. Ora deve rivedere la sua strategia e permettere la riunificazione».
Dalla cella 28, Marwan Barghouti è riuscito a rimanere il leader palestinese più influente. Arrestato dagli israeliani nel 2002 e condannato il 6 giugno del 2004 — il giorno del suo compleanno — a cinque ergastoli, è chiamato Napoleone per la piccola statura e le grandi ambizioni. È lui che un anno fa ha elaborato il «documento dei prigionieri», un accordo tra il suo Fatah e Hamas, il testo che ha portato alla nascita del governo di unità nazionale. Il piano è andato in frantumi con la vittoria militare dei fondamentalisti a Gaza. «L'esecutivo formato assieme al Fatah— commenta — ha rappresentato un'occasione per Hamas. Il movimento avrebbe potuto rafforzare il suo ruolo nel mondo arabo e ottenere legittimità internazionale. Ma ha rovesciato il governo e ha commesso l'errore strategico più grave, da quando è stato fondato vent'anni fa. È la prima volta nella storia palestinese, che una delle fazioni realizza un colpo di Stato contro l'autorità legittima».
Lo Shin Bet lo considera «l'architetto del terrore » della rivolta scoppiata nel settembre 2000. Il laburista Benjamin Ben-Eliezer, ministro israeliano per le Infrastrutture, spinge invece perché venga rilasciato in uno scambio con Gilad Shalit, il caporale dell'esercito rapito nel giugno dell'anno scorso. «È il miglior interlocutore che possiamo avere per raggiungere un accordo di pace».
Nell'intervista — le risposte sono state dettate durante un incontro nel parlatorio della prigione con l'avvocato Elias Sabbagh — Barghouti spiega come i palestinesi possano tentare di uscire dalla crisi.
È possibile una riconciliazione tra Hamas e il Fatah?
«Prima Hamas deve restituire la Striscia di Gaza al controllo di Abu Mazen, garantire che non userà più la forza e la violenza, riconoscere il governo temporaneo indipendente e accettare le elezioni anticipate. Quando dico restituire, intendo tutto quello che hanno sottratto: palazzi, documenti, veicoli. Questo è il primo passo, perché i palestinesi non hanno altra scelta che la riconciliazione».
Ismail Haniyeh, premier deposto da Abu Mazen, ripete di rappresentare il governo legittimo, dopo la vittoria elettorale nel gennaio 2006.
«Nessuno nega che Hamas abbia ottenuto la maggioranza in parlamento. E' una parte importante del movimento palestinese.
Ma dopo il golpe a Gaza, la situazione è completamente cambiata. Hamas deve accettare il ritorno alle urne per vedere se la gente li sostiene ancora.
Sono sicuro che il Fatah vincerebbe».
In molti chiedono che il Fatah si riformi e soprattutto ringiovanisca.
«Dobbiamo rinnovare i nostri leader. Aprirci alle donne, ai giovani, ai docenti universitari. E dobbiamo chiederci quali errori abbiamo commesso a Gaza».
Teme che l'isolamento possa spingere Hamas verso Al Qaeda?
«Hamas si è isolato da solo, quando ha deciso di prendere il controllo della Striscia con la forza. Nessuno tra i palestinesi li sta isolando. Al contrario, il Fatah ha fatto sforzi enormi perché partecipassero alla vita politica».
Hanna Siniora, intellettuale e politico palestinese, ha detto: «Dopo quarant'anni sotto il dominio di Arafat, abbiamo dimostrato di non essere abbastanza maturi per condividere l'autorità ».
«È chiaro che le fazioni palestinesi non hanno compreso a fondo il valore della democrazia. La prova sta in quello che ha fatto Hamas. Bisogna costruire una cultura della democrazia, aprire un dialogo interno, rafforzare le istituzioni. Democrazia non significa solo votare alle elezioni, ma riconoscere la sovranità della legge e riuscire ad accettare le posizioni degli altri, senza voler imporre la propria egemonia. Il primo problema resta l'occupazione israeliana: deve finire perché i palestinesi possano realizzare uno Stato democratico».
Sempre Siniora ha sostenuto che lo scontro tra Hamas e Fatah segna la fine del progetto nazionale palestinese.
«È uno scontro distruttivo. Tutt'e due le fazioni stanno perdendo e la gente paga il prezzo. Hamas ha diviso la terra e spezzato in due l'autorità, così ha messo la nostra causa in pericolo. Ora deve rivedere la sua strategia e permettere la riunificazione».
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