martedì 9 ottobre 2007

Israele e i visti d'ingresso al personale ecclesiastico di etnia araba

David M. Jaeger, Terrasanta, 08.10.07. Nei giorni scorsi alcune agenzie di informazione hanno riferito di nuovi intralci posti dalle autorità israeliane agli spostamenti del personale religioso di etnia araba in Terra Santa. Ultimamente, infatti, preti e suore che si trovano a dover varcare la frontiera dello Stato ebraico in uscita rischiano di non potervi far ritorno senza prima aver richiesto un nuovo visto di ingresso presso un consolato israeliano. L'esito della richiesta rimane incerto e la procedura impone comunque mesi di esasperante attesa per il disbrigo delle pratiche. Fin qui i responsabili ecclesiastici hanno preferito evitare proteste pubbliche, cercando invece di ottenere un mutamento di linea tramite negoziati discreti con le autorità civili competenti. Sulla questione vi proponiamo un commento di padre David M. Jaeger, giurista francescano appartenente alla Custodia di Terra Santa.

Ancora una volta, e per l'ennesima volta, giungono notizie dalla Terra Santa su un'altra «ondata» di rifiuti di visti di ingresso e permessi di soggiorno al personale ecclesiastico e religioso - preti, frati e suore - assolutamente necessario per la vita della Chiesa, dei suoi santuari, delle sue parrocchie, scuole e altre opere religiose e sociali. Come le altre volte, la situazione degenera ulteriormente da un giorno all'altro.

Eppure... eppure nel suo Accordo fondamentale con la Santa Sede, firmato il 30 dicembre 1993, entrato in vigore il 10 marzo 1994, lo Stato di Israele ha riconosciuto esplicitamente, all'articolo 3 paragrafo 2, il «diritto della Chiesa Cattolica a formare, nominare, e dispiegare (nell'originale inglese: deploy) il proprio personale» nelle sue istituzioni e per l'espletamento delle sue funzioni (!).

Una dimensione fondamentale della ripetuta crisi è infatti questa: che non esiste tale normativa, non esiste nessuna normativa, nessuna procedura stabile e riconoscibile, eccetto quanto possa forse esistere nei cassetti chiusi o nelle menti impenetrabili di certi funzionari, e che comunque si dimostra sempre di nuovo altamente mutevole. L'Accordo fondamentale invece, confrontando il già citato articolo 3 paragrafo 2 con l'articolo 12, prevederebbe una normativa concordata, pattizia, che rispetti integralmente sia il diritto della Chiesa che le legittime esigenze dello Stato. Come è stato reso noto più volte da organi di stampa, già nel lontano 1994 le Parti si sono accordate di negoziare precisamente su questi argomenti. Il tempo per farlo è sicuramente venuto.

Nessun commento: