
R. – Il problema dei visti e dei permessi di soggiorno fa registrare l’ennesima crisi. Ogni volta i ritardi, i dinieghi etc., causano enormi problemi alla pastorale, al funzionamento della Chiesa. Il problema di fondo è che in Israele non c’è nessuna normativa per il rilascio dei permessi di ingresso e di soggiorno, eccetto quello che ti dice il funzionario del giorno allo sportello. Invece servono norme che permettano alla Chiesa di programmare ragionevolmente chi possa essere ammesso, come e quando. Nell’accordo fondamentale con la Santa Sede del ’93, sarebbe stato previsto in linea di massima il diritto della Chiesa a dispiegare il proprio personale nelle proprie istituzioni. Risulterebbe un impegno comune di negoziare un patto circa questa normativa e questo impegno è stato esplicitato tra le parti già nel marzo del ’94. Risulta che c’era un accordo procedurale di negoziare precisamente un patto sulle norme per il rilascio di questi permessi. Questo fino ad oggi non è avvenuto.
D. – Al momento, la situazione praticamente come si svolge sul campo? Un sacerdote che si deve muovere cosa fa?
R. – Attualmente ci sono molti che attendono il rilascio. In casa mia c’è un sacerdote siro-cattolico, destinato alla cura pastorale dei siri-cattolici di Gerusalemme. E’ l’unico sacerdote abilitato al rito che sarebbe lì, ma invece lui non può partire per Israele perché non ha ricevuto il visto e nessuna indicazione se lo riceverà, quando lo riceverà e come o che cosa dovrebbe ancora fare per riceverlo. Ci sono anche altri, molti dei quali hanno ricevuto il visto per un solo anno o un solo ingresso. Per esempio, se devono lasciare il Paese non possono rientrare, se non avendo fatto una nuova domanda.
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