Scendiamo dal taxi che si e` gia` fatto buio, pochi passi nel suq e saliamo sull`ambulanza del Medical Relief, guidata da Firas, giungendo in pochi minuti in prossimita` del nostro alloggio, al decimo piano di una grigia palazzina arrocata lungo i fianchi della collina, a debita distanza dai vicoli del centro e dai tre campi profughi: Balata, Askar e Alian. Qui i militari israeliani giungono quasi ogni notte con i loro mezzi corazzati, per arrestare o uccidere dei combattenti palestinesi, o presunti tali.
Dopo cena usciamo sul terrazzo e la nostra attenzione scende subito a valle, tra gli edifici fatiscenti del centro, illuminati dalla luce giallognola delle strade, dove regna una calma apparente. E` in questi istanti che Nablus ritrova la propria vita, l`energia che le ha permesso di resistere a centinaia di attacchi avvenuti negli ultimi 6 anni. A partire dal 2002, con la massiccia invasione dell`esercito israeliano, giunto con decine di carri armati, i Markava tank, affiancati dai buldozzer necessari per squarciare gli stretti vicoli della citta` vecchia, demolendo interi edifici con famiglie all`interno, molte delle quali scomparse tra le macerie. Poi i soldati e i cecchini con i fucili di precisione, asserragliati nei palazzi piu` alti, per vigilare sul coprifuoco totale di quei giorni, e "sparare su ogni cosa in movimento", come ci racconta Firas. Oggi come allora, Firas e` un volontario del Medical Relief che guida l`ambulanza tra gli spari e le esplosioni per prestare soccorso ai feriti o raccogliere i cadaveri, spesso dopo delicate trattative con i militari tutt'altro che disposti a consentire il passaggio. Ci racconta come qualche settimana fa, durante una breve occupazione militare nel campo di Balata (25 mila persone in 1 chilometro quadrato), una donna sia stata colpita da un cecchino mentre si affacciava alla finestra. Il proiettile le ha attraversato il torace, passando a pochi centimetri dal cuore. Dopo il ricovero in ospedale, i militari hanno riconosciuto il loro sbaglio concedendo fosse trasferita in una clinica di Tel Aviv dove e` tuttora sotto osservazione, in condizioni critiche, a spese dei familiari. Impressionante ascoltare la descrizione delle tecniche di incursione dei soldati, i quali, per raggiungere il centro del campo sono soliti aprire dei fori nei muri con il martello o usando cariche esplosive, infilandosi poi nelle case per uscirne dall`altra parte, giungendo ad un nuovo muro da forare.. e cosi` via, sfasciando anche 30 abitazioni in una sola incursione. Tattica usata per sottrarsi alle sassaiole dei giovani, abituati a difendersi in questo modo dalle aggressioni, spesso a costo della vita. E` quasi un paradosso, uno dei piu` potenti eserciti della terra, munito di armi sofisticate e mezzi corazzati, messo in crisi da bande di ragazzi senza un futuro, armati di sassi e fionde.
"Negli ultimi 6 anni sono morte 975 persone a Nablus - spiega il Dottor Ghassan del Medical Relief, incontrato in mattinata -, oltre a 7000 feriti, 1000 dei quali hanno riportato disabilita` permanenti, anche molto gravi". Ascoltiamo con attenzione le sue parole e non possiamo che essere sdegnati, scoprendo come la crescente pressione militare in Nablus, sia stata accompagnata dall`uso di nuove armi, una sorta di bombe di precisione che lasciano ferite terribili, a causa di "particolari schegge mai viste prima, di un materiale quasi polveroso, in grado di spappolare gli organi interni e non rintracciabile ai raggi x".
Lasciata la clinica del centro entriamo a Balata, il piu` grande campo profughi della Cisgiordania settentrionale, dove centinaia di famiglie si ammassano in palazzi fatiscenti, distrutti e ricostruiti piu` volte, in seguito alle incursioni israeliane. Dopo una breve visita al centro giovanile, ci inoltriamo nel cuore del campo, percorrendo stretti viottoli che in alcuni casi non superano i 50 centimetri. Qui troviamo un groviglio di tubi, rifiuti e calcinacci, l`aria e` spesso irrespirabile per la costante mancanza di aerazione e sole, causa di svariate patologie che colpiscono soprattutto chi vive al pian terreno, nella semioscurita`.
Dopo due notti nella Testa del Serpente, ci convinciamo che il veleno e` frutto dell`occupazione, che stritola migliaia di esistenze, corrodendo l`economia, ostacolando gli spostamenti e alimentando la tensione nelle strade. Altrettanto disarmante l`ottimismo di alcuni, se non molti, convinti che la Palestina ce la fara`: "basta non lasciare le nostre terre e continuare a vivere ogni giorno senza fuggire. Questa e` la nostra resistenza!". Parola di Majdi.
Dopo cena usciamo sul terrazzo e la nostra attenzione scende subito a valle, tra gli edifici fatiscenti del centro, illuminati dalla luce giallognola delle strade, dove regna una calma apparente. E` in questi istanti che Nablus ritrova la propria vita, l`energia che le ha permesso di resistere a centinaia di attacchi avvenuti negli ultimi 6 anni. A partire dal 2002, con la massiccia invasione dell`esercito israeliano, giunto con decine di carri armati, i Markava tank, affiancati dai buldozzer necessari per squarciare gli stretti vicoli della citta` vecchia, demolendo interi edifici con famiglie all`interno, molte delle quali scomparse tra le macerie. Poi i soldati e i cecchini con i fucili di precisione, asserragliati nei palazzi piu` alti, per vigilare sul coprifuoco totale di quei giorni, e "sparare su ogni cosa in movimento", come ci racconta Firas. Oggi come allora, Firas e` un volontario del Medical Relief che guida l`ambulanza tra gli spari e le esplosioni per prestare soccorso ai feriti o raccogliere i cadaveri, spesso dopo delicate trattative con i militari tutt'altro che disposti a consentire il passaggio. Ci racconta come qualche settimana fa, durante una breve occupazione militare nel campo di Balata (25 mila persone in 1 chilometro quadrato), una donna sia stata colpita da un cecchino mentre si affacciava alla finestra. Il proiettile le ha attraversato il torace, passando a pochi centimetri dal cuore. Dopo il ricovero in ospedale, i militari hanno riconosciuto il loro sbaglio concedendo fosse trasferita in una clinica di Tel Aviv dove e` tuttora sotto osservazione, in condizioni critiche, a spese dei familiari. Impressionante ascoltare la descrizione delle tecniche di incursione dei soldati, i quali, per raggiungere il centro del campo sono soliti aprire dei fori nei muri con il martello o usando cariche esplosive, infilandosi poi nelle case per uscirne dall`altra parte, giungendo ad un nuovo muro da forare.. e cosi` via, sfasciando anche 30 abitazioni in una sola incursione. Tattica usata per sottrarsi alle sassaiole dei giovani, abituati a difendersi in questo modo dalle aggressioni, spesso a costo della vita. E` quasi un paradosso, uno dei piu` potenti eserciti della terra, munito di armi sofisticate e mezzi corazzati, messo in crisi da bande di ragazzi senza un futuro, armati di sassi e fionde.
"Negli ultimi 6 anni sono morte 975 persone a Nablus - spiega il Dottor Ghassan del Medical Relief, incontrato in mattinata -, oltre a 7000 feriti, 1000 dei quali hanno riportato disabilita` permanenti, anche molto gravi". Ascoltiamo con attenzione le sue parole e non possiamo che essere sdegnati, scoprendo come la crescente pressione militare in Nablus, sia stata accompagnata dall`uso di nuove armi, una sorta di bombe di precisione che lasciano ferite terribili, a causa di "particolari schegge mai viste prima, di un materiale quasi polveroso, in grado di spappolare gli organi interni e non rintracciabile ai raggi x".
Lasciata la clinica del centro entriamo a Balata, il piu` grande campo profughi della Cisgiordania settentrionale, dove centinaia di famiglie si ammassano in palazzi fatiscenti, distrutti e ricostruiti piu` volte, in seguito alle incursioni israeliane. Dopo una breve visita al centro giovanile, ci inoltriamo nel cuore del campo, percorrendo stretti viottoli che in alcuni casi non superano i 50 centimetri. Qui troviamo un groviglio di tubi, rifiuti e calcinacci, l`aria e` spesso irrespirabile per la costante mancanza di aerazione e sole, causa di svariate patologie che colpiscono soprattutto chi vive al pian terreno, nella semioscurita`.
Dopo due notti nella Testa del Serpente, ci convinciamo che il veleno e` frutto dell`occupazione, che stritola migliaia di esistenze, corrodendo l`economia, ostacolando gli spostamenti e alimentando la tensione nelle strade. Altrettanto disarmante l`ottimismo di alcuni, se non molti, convinti che la Palestina ce la fara`: "basta non lasciare le nostre terre e continuare a vivere ogni giorno senza fuggire. Questa e` la nostra resistenza!". Parola di Majdi.
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