Questi stessi giovani, che per arrivare qui ogni mattina sono costretti ad affrontare le umiliazioni delle lunghe attese e delle modalita’ di controllo del tutto arbitrarie ai check point , gestiscono e animano i centri giovanili all’interno dei campi profughi e si impegnano nelle varie associazioni di volontariato che troviamo in tante citta e villaggi.
Davvero forte e’ l’impegno per l’educazione alla pace nella societa’ palestinese. Nassar, che incontriamo al centro di Ta’awon a Ramallah, ci illustra programmi e progetti volti a diffondere la cultura della nonviolenza. Anche noi, come tanti altri, palestinesi, israeliani e internazionali, sentiamo profondamente nostra la scelta nonviolenta; ecco perche’ eravamo tutti a Bil’in.
Siamo convinti che nonostante tutto, questa sia l’unica strada percorribile contro una logica di arroganza e violenza che quel venerdi 26 ottobre ci ha colpiti direttamente nella sua forma piu brutale.
Il piccolo Ramzi, che tirava pietre contro i carri armati durante la prima Intifada, lo incontriamo oggi al centro Al Kamandjati di Ramallah, scuola di musica che ha fondato per i bambini e i giovani dei campi profughi.
La resistenza di un popolo oppresso può esprimersi anche attraverso la musica, che diventa anch’essa una scelta di nonviolenza.
Ma questa resistenza nonviolenta e’ vissuta soprattutto nella vita quotidiana di tutti...
Ad Hebron, dove vivono 200.000 palestinesi, oppressi da 400 coloni che hanno occupato le loro case proprio nel cuore della citta’ con circa 2.000 soldati a loro protezione, anche solo tenere aperta la saracinesca di un bar e’ una forma di resistenza e di lotta nonviolenta.
E noi che qui abbiamo avuto l’opportunita’ di vederla vi invitiamo a condividere con noi questa riflessione:
- cosa faremmo noi se ogni mattina per poter raggiungere il posto di lavoro o accompagnare i nostri figli a scuola fossimo costretti a rimanere per lungo tempo in fila senza sapere quando potremo passare?
- come ci sentiremmo se avendo un appuntamento importante, il soldato che ci ha chiesto i documenti li trattenesse arbitrariamente mentre con tutta tranquillita’ parla al telefono o beve il caffe’ o fa qualunque altra cosa, facendoci sentire che cio’ che per noi e’ importante non conta piu nulla?
- cosa faremmo se ad un check point vedessimo un anziano costretto a rimanere in piedi per ore sotto il sole senza che nessuno si preoccupi di lui; o un’ambulanza che trasporta feriti o malati bloccata e sottoposta ai controlli che prevedono anche che gli stessi siano fatti uscire dal mezzo, facendo perdere tempo prezioso e mettendo a rischio la loro vita?
- cosa faremmo se il check point fosse solo uno dei tanti soprusi che siamo costretti a subire quotidianamente, rendendo la nostra vita impossibile?...
Gerusalemme, 30 ottobre 2007
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