Abu Mazen, se fa sul serio, non andrà negli Stati uniti perché Israele non è intenzionato a fare concessioni, come ha ammesso Olmert domenica scorsa, quando ha ridimensionato le attese di una svolta sul binario israelo-palestinese e ha precisato che i negoziati non andranno oltre una possibile intesa su una generica dichiarazione d'intenti. È prontamente intervenuto il solito Saeb Erekat, caponegoziatore palestinese. «Noi palestinesi - ha detto - a Washington andremo con l'obiettivo di ottenere un meccanismo per l'applicazione di accordi passati, a cominciare dal piano Road Map, e per stabilire le basi per realizzare la visione del presidente George Bush che parla della nascita di uno stato palestinese».
Meccanismo di applicazione degli accordi? Visione di Bush? Stato di Palestina? Quella che Erekat ha in testa è fantapolitica, un sogno che fa a pugni con una realtà ben diversa che lui non riesce o finge di non vedere. E a spiegarlo è stato ieri l'analista israeliano Shmuel Sandler, del Centro strategico «Begin-Sadat» di Tel Aviv. «Mettiamo da parte l'idea di una svolta a Washington, perché è impossibile - ha detto - Israele non ha fiducia in Abu Mazen. Il presidente palestinese non è in grado di controllare l'Anp, ha un potere limitato e quindi per quale motivo (Olmert) dovrebbe affidarsi a lui».
Quello che Olmert vuole è un Abu Mazen alla testa dei suoi servizi di sicurezza lanciato alla caccia di Hamas e di ogni forma di resistenza all'occupazione militare. Ma il presidente palestinese non può farlo e questo lo rende «inidoneo» per il ruolo che Usa e Israele vorrebbero affidargli. Shmuel Sandler è stato altrettanto netto nel dire che l'obiettivo reale degli americani «non è quello di fare progressi al tavolo israelo-palestinese ma invece di mettere insieme Israele con un certo numero di paesi arabi per dimostrare che il mondo arabo moderato teme di più l'Iran che lo stato ebraico». Per Israele, ha aggiunto, «solo la presenza (all'incontro) di paesi come l'Arabia saudita basterebbe a garantire il successo dell'iniziativa Usa».
L'intento americano è talmente plateale da spingere l'Arabia saudita, che pure è uno degli alleati più fedeli di Bush, a mostrarsi esitante. Riyadh sponsorizza il piano arabo approvato al vertice dello scorso marzo (pace in cambio del ritiro dello stato ebraico dai territori arabi e palestinesi che occupa dal 1967) e quindi i regnanti sauditi chiedono qualche progresso al tavolo israelo-palestinese in modo da apparire più disinvolti in prima fila nel processo di normalizzazione dei rapporti con Israele.
La scorsa settimana il ministro degli esteri saudita, Saud al Faisal, ha avvertito che il suo paese non sarà rappresentato a Washington se non verranno affrontate «le questioni principali» e, nonostante l'ostilità che nutre verso Damasco, si è riferito anche al Golan siriano occupato da Israele quaranta anni fa.
Meccanismo di applicazione degli accordi? Visione di Bush? Stato di Palestina? Quella che Erekat ha in testa è fantapolitica, un sogno che fa a pugni con una realtà ben diversa che lui non riesce o finge di non vedere. E a spiegarlo è stato ieri l'analista israeliano Shmuel Sandler, del Centro strategico «Begin-Sadat» di Tel Aviv. «Mettiamo da parte l'idea di una svolta a Washington, perché è impossibile - ha detto - Israele non ha fiducia in Abu Mazen. Il presidente palestinese non è in grado di controllare l'Anp, ha un potere limitato e quindi per quale motivo (Olmert) dovrebbe affidarsi a lui».
Quello che Olmert vuole è un Abu Mazen alla testa dei suoi servizi di sicurezza lanciato alla caccia di Hamas e di ogni forma di resistenza all'occupazione militare. Ma il presidente palestinese non può farlo e questo lo rende «inidoneo» per il ruolo che Usa e Israele vorrebbero affidargli. Shmuel Sandler è stato altrettanto netto nel dire che l'obiettivo reale degli americani «non è quello di fare progressi al tavolo israelo-palestinese ma invece di mettere insieme Israele con un certo numero di paesi arabi per dimostrare che il mondo arabo moderato teme di più l'Iran che lo stato ebraico». Per Israele, ha aggiunto, «solo la presenza (all'incontro) di paesi come l'Arabia saudita basterebbe a garantire il successo dell'iniziativa Usa».
L'intento americano è talmente plateale da spingere l'Arabia saudita, che pure è uno degli alleati più fedeli di Bush, a mostrarsi esitante. Riyadh sponsorizza il piano arabo approvato al vertice dello scorso marzo (pace in cambio del ritiro dello stato ebraico dai territori arabi e palestinesi che occupa dal 1967) e quindi i regnanti sauditi chiedono qualche progresso al tavolo israelo-palestinese in modo da apparire più disinvolti in prima fila nel processo di normalizzazione dei rapporti con Israele.
La scorsa settimana il ministro degli esteri saudita, Saud al Faisal, ha avvertito che il suo paese non sarà rappresentato a Washington se non verranno affrontate «le questioni principali» e, nonostante l'ostilità che nutre verso Damasco, si è riferito anche al Golan siriano occupato da Israele quaranta anni fa.
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