martedì 25 settembre 2007

Primo Levi Israele lo ignorò

Meron Rapoport, L'Espresso, 20/09/07. A lungo le opere di Levi non trovarono editori a Gerusalemme. E non venne neppure chiamato al processo Eichmann. Dan Miron, autorevole critico letterario, ha scritto che l'establishment israeliano non poteva accettare Levi perché il suo modo di concepire la Shoah era contrario alla maniera in cui Israele voleva vedere quel periodo. L'Auschwitz di Levi, dice Miron, non era "un altro pianeta", ma "la continuazione e la manifestazione della 'normale' condotta umana". Israele invece voleva trattare la Shoah come un evento unico, ragione per cui, "il migliore scrittore della Shoah" era ignoto agli studenti israeliani. Anche per Margalit Shlain non è stato un caso se Levi è stato ignorato. Israele cercava eroi, e Levi non era un eroe. La letteratura israeliana sulla Shoah versava sul patetico e Levi guardava Auschwitz con un occhio quasi calmo. E poi non era sionista.

La scoperta del testo di Primo Levi che leggete qui non è risultato di una lunga e travagliata ricerca. 'La deposizione del Dott. Primo Levi, abitante in Torino, C. Vittorio 67' giaceva da quarantasette anni nell'archivio di Yad Vashem, e reca in testa il timbro in ebraico e in inglese 'Central Archives for the Disaster and the Heroism'. 'Disaster' era un goffo tentativo di rendere in inglese l'intraducibile parola Shoah. E Yad Vashem è il più importante centro di documentazione della Shoah, appunto. Un giorno dunque, una studiosa israeliana, Margalit Shlain, preparando, per un convegno, una relazione sulla 'Percezione dell'opera di Primo Levi in Israele' ha pensato di visitare quell'archivio, e così ha trovato la deposizione di Levi stilata a Roma il 14 giugno 1960, e giunta a Yad Vashem nello stesso anno.

Della Shoah, dei suoi molteplici aspetti, ci si occupa in Israele quotidianamente. E allora può essere difficile capire come un testo di uno scrittore come Levi, conosciuto in tutto il mondo per i suoi libri su Auschwitz, non sia stato ritrovato per così lungo tempo. La direzione dell'archivio di Yad Vashem ha detto a 'L'espresso' che la deposizione di Levi arrivò nelle loro mani nel 1960 insieme ad altri documenti provenienti dall'Italia. Levi l'avrebbe affidata ai rappresentanti della magistratura israeliana che lavoravano all'istruttoria del processo ad Adolf Eichmann, l'ideatore della 'soluzione finale del problema ebraico', catturato in Argentina dagli agenti del Mossad nel 1960 (il premier David Ben Gurion ne diede l'annuncio alla Knesset il 23 maggio di quell'anno). La testimonianza di Levi, racconta Shlain, insieme ad altre 50 testimonianze di ebrei italiani, venne trasmessa agli uffici della Procura a Gerusalemme, ma Levi non fu chiamato a testimoniare davanti al tribunale che condannò Eichmann a morte.


Il processo di Eichmann non era un semplice atto giudiziario. Nei primi anni dell'esistenza dello Stato di Israele della Shoah si parlava pochissimo. Il processo, trasmesso in diretta dalla radio per mesi e mesi, era, per Ben Gurion, un'ottima occasione per presentare lo Stato ebraico come l'erede di un ebraismo ferito a morte, un erede che ha però imparato la lezione (mai più Auschwitz e mai più vita in Diaspora), e per raccontare la Shoah al pubblico israeliano. Ecco perché il pubblico ministero Gideon Hausner pensò di convocare come testimoni persone che fossero conosciute al pubblico. Uno di questi era Yehiel Dinur-Feiner, un reduce di Auschwitz, che firmava con lo pseudonimo Ka-Tzetnik i suoi libri un po' scandalistici e con scene molto crude sugli orrori dei campi di sterminio e che era molto popolare negli anni Cinquanta in Israele. Lo scrittore svenne sul banco dei testimoni dopo aver pronunciato parole che sarebbero rimaste impresse nella memoria degli israeliani: "Sono venuto da un altro pianeta, dal pianeta delle ceneri che si chiama Auschwitz".

Levi non era a Gerusalemme. In Israele, Levi era sconosciuto. Così rimase quasi fino alla sua morte. Nel 1968 fece una visita in Israele con una delegazione di partigiani di Torino. Lo storico Isaac Garti lo incontrò a Gerusalemme. Garti aveva letto in italiano 'Se questo è un uomo', era rimasto commosso e voleva tradurlo. Levi, ricorda Garti, era molto interessato a una traduzione del libro. "Aveva contattato parecchie case editrici, ma tutte avevano rifiutato. Gli dicevano: 'Un altro libro sulla Shoah? Ne abbiamo fin troppi. Nessuno lo comprerà'". Levi, ricorda Garti, sorrideva dicendo che capiva benissimo. Un eco di questo incontro con l'incomprensione della sua opera in Israele, si ritrova nella prefazione che Levi scrisse per la traduzione de 'La Tregua', il suo primo libro uscito in ebraico nel 1979. "Sono molto felice e fiero che la mia 'Tregua' vede luce in Israele, molti anni dopo la sua nascita in Italia", scriveva. "Non è strano che il mio primo libro, 'Se questo è un uomo', non sia tradotto in ebraico. 'Se questo è un uomo' è un diario di un campo di concentramento, un soggetto troppo conosciuto". 'La Tregua', sosteneva Levi, racconta invece una storia inedita, per cui era ragionevole sperare in un suo successo. La speranza venne delusa. 'La Tregua', nella sua prima edizione israeliana ha venduto 500 copie. 'Se questo è un uomo' è stato pubblicato in Israele, nella traduzione di Garti, soltanto un anno dopo la morte di Levi. Perché tanto ritardo? Ariel Rathaus, professore di letteratura italiana all'Università di Gerusalemme, dice che Israele segue l'America. Quando in America si cominciò a parlare di Levi (metà anni Ottanta), anche in Israele ci si accorse di lui. 'Il sistema periodico' uscì nel 1987 ed ebbe successo. Più tardi anche gli altri libri di Levi sono stati tradotti in ebraico: il ritardo era solo questione di moda.

Non tutti sono d'accordo. Dan Miron, autorevole critico letterario, ha scritto che l'establishment israeliano non poteva accettare Levi perché il suo modo di concepire la Shoah era contrario alla maniera in cui Israele voleva vedere quel periodo. L'Auschwitz di Levi, dice Miron, non era "un altro pianeta", ma "la continuazione e la manifestazione della 'normale' condotta umana". Israele invece voleva trattare la Shoah come un evento unico, ragione per cui, "il migliore scrittore della Shoah" era ignoto agli studenti israeliani. Anche per Margalit Shlain non è stato un caso se Levi è stato ignorato. Israele cercava eroi, e Levi non era un eroe. La letteratura israeliana sulla Shoah versava sul patetico e Levi guardava Auschwitz con un occhio quasi calmo. E poi non era sionista. Oggi le cose sono cambiate: nei licei si studiano i racconti di Levi, all'università si scrivono tesi sulla sua opera. Perfino Olmert ha citato Levi in uno dei suoi discorsi. Ma poi il convegno per cui Shlain ha scritto la relazione sulle opere di Levi ha avuto luogo in Belgio, non in Israele, e anche lì quel testo che qui potete leggere è stato solo menzionato, non citato nella sua interezza. Per Levi in Israele la strada è ancora lunga.
(20 settembre 2007)

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