Nurit Peled Elhanan, Hawiyya, 10/08/07. I soldati di Israele sono chiamati a sacrificare bambini, genitori, volontari e qualche volta se stessi sull’altare di insolenti e corrotti Capi dello Stato, che sono riusciti a trasformare questo Paese intero in un altare su cui sacrificano i figli di altre persone al dio della morte. Bambini, feti, neonati vengono quotidianamente buttati a sangue freddo nel regno dei bambini morti che cresce ininterrottamente sotto i nostri piedi. E nessuno è colpevole delle loro morti; nessuno viene mai punito per l’assassinio di un bambino palestinese. lo Stato si prende cura di quelli che lo servono, qualche volta. Altre volte sacrifica persino loro, con lo stesso sangue freddo e per le stesse ragioni.
E gli assassini? Che ne è di loro? Sanno di aver commesso dei crimini? Si girano e si rigirano nei loro letti la notte? Sono tormentati dalle immagini dei piccoli corpi che si contorcono e cadono sotto i loro proiettili, bombe e granate? Probabilmente no. Non conosciamo nessun caso in cui qualche soldato si sia costituito ed abbia espresso rimorso per le sue azioni. Questo è il più grande successo del sistema educativo israeliano: la distinzione tra sangue e sangue, tra bambino morto e bambino morto, e inculcare la credenza certa che l’assassinio dei palestinesi e dei loro amici non è un crimine.
Chiunque si arruoli nell’esercito sa questo ed è preparato a questo. Metà della nazione! Quanti milioni ci sono in metà nazione? Quanti milioni di giovani uomini e giovani donne se ne stanno semplicemente impassibili di fronte al pianto di un bambino, all’agonia di una donna in travaglio, agli appelli di un vecchio e alla morte di migliaia di persone innocenti? Quanti milioni di persone non hanno mai imparato a rifiutare ordini così platealmente inumani anche se legali, secondo le leggi razziste del loro Paese, e a dire no ai capi corrotti e ai generali assetati di sangue?
Ben fatto, Forze di Difesa Israeliane! Ben fatto, educazione Ebraica Israeliana, che è riuscita quasi perfettamente ad inculcare i valori del razzismo quasi senza alcuna opposizione.
E se mio figlio Yigal volesse davvero partecipare ai programmi militari che vengono imposti agli studenti delle scuole superiori a partire dal terzo anno, o, Dio non voglia, arruolarsi nell’esercito di occupazione e sevizie, vedrei questo come un tremendo fallimento dell’educazione. Un terribile fallimento del compito materno. E se io non faccio tutto quello che posso per evitare che lui, a diciotto anni, diventi un assassino o un cadavere, so di avere tradito lui e la mia vocazione di madre.
Il professor Stewart Cohen dell’Università di Bar Ilan ci consola dicendo che la “responsabilità” sta nell’aumento del numero degli Ultra-Ortodossi che non prestano servizio e ci informa che l’esercito degli Stati Uniti sarebbe stato felice di un numero di renitenti così basso, durante la guerra del Vietnam. Può darsi che faremmo qualcosa di buono imparando dagli americani degli anni 60, o persino dagli Ebrei Ultra-Ortodossi che temono per la vita dei loro figli.
Quando l’ampiezza del fenomeno di renitenza alla leva divenne noto, sono stata invitata al programma di Oded Shahar, “Politika”, come madre che non permette che suo figlio (che ha ora 15 anni) entri nell’esercito. Esclusa io, venni informata nel corso di una reiterata campagna di persuasione, venivano invitati solo uomini, la maggior parte di loro generali propagandisti della guerra come Effie Eitam e Yossi Peled. Dopo che venni convinta che la mia partecipazione al programma sarebbe stata importante e decisiva, accettai. La ricercatrice mi chiese come mai io non avrei permesso a mio figlio di arruolarsi. Le spiegai che l’esercito, da quarant’anni implicato in sistematiche e crescenti violenze sulla popolazione civile, (violenze che persino il coraggioso giornalista Gideon Levy chiama con il nome stranamente addolcente di “operazioni di polizia”), un esercito che insegna ai suoi soldati che uccidere i bambini palestinesi e quelli che li proteggono come Rachel Corrie e James Miller, non è un crimine, un esercito i cui comandanti sono immuni da qualsiasi punizione nonostante commettano quotidianamente crimini contro l’umanità, non è un luogo adatto a mio figlio, che è stato cresciuto per amare le persone, che ha amici palestinesi, i cui fratelli e genitori hanno amici palestinesi che subiscono lo stesso regime di terrore e di sofferenza quotidiana. Dopo mezz’ora mi è stato detto che nonostante il mio contributo fosse decisivo non c’erano abbastanza posti sul palco.
Pochi giorni dopo in un notiziario ci venne data la notizia solitaria e isolata che il dossier sull’omicidio di Abir Aramin, la figlia di Salwa e Bassam Aramin, era stato chiuso. Bassam è uno dei fondatori del movimento Palestinese-Israeliano, Combattenti per la Pace, di cui sono membri i miei figli Elik e Guy. Bassam Aramin ha passato 9 anni in carcere a causa della sua appartenenza a Fatah nella zona di Hebron e per aver cercato di tirare una granata contro una jeep dell’esercito israeliano, che stava pattugliando nei Territori Occupati. Un martedì pomeriggio, il 16 gennaio 2007, un soldato israeliano ha ucciso sua figlia di 9 anni, Abir, sparandole in testa mentre usciva da scuola per tornare a casa. Il soldato non passerà neanche un’ora in prigione. In Israele i soldati non vanno in prigione per aver ucciso degli Arabi. Mai. Non importa che gli Arabi siano giovani o vecchi, terroristi reali o potenziali, dimostranti pacifici o lanciatori di pietre. L’esercito non ha condotto un’ inchiesta sulla morte di Abir Aramin. Né polizia né tribunale hanno interrogato nessun altro oltre la sorella di Abir, che la teneva per mano quando è caduta. Alla sorella è stato chiesto per molte volte e poi ancora a quanti metri di distanza si trovavano dal cancello della scuola, dal chiosco, dalla jeep? (?!?!) A quanti metri? (?!?!?) Non te lo ricordi? (?!?!?) Non c’è stata alcuna indagine eccetto quella fatta da Bassam e dai suoi amici, che sanno esattamente chi è l’assassino.
Ma poiché le forze di occupazione sono coinvolte, lo sparo non c’è stato. La versione ufficiale dell’esercito sulla sua morte è che potrebbe essere stata colpita da un sasso che una delle sue compagne di classe stava lanciando contro le “nostre forze”. Questo senza tenere in alcun conto i risultati ottenuti da un noto patologo, che ha lavorato per molti anni in un istituto di medicina legale.
Una delle accuse contro i renitenti è che hanno smesso di credere in “valori” come il sacrifico. Il sacrificio di chi, esattamente? Su quale altare? A quale dio? I soldati di Israele sono chiamati a sacrificare bambini, genitori, volontari e qualche volta se stessi sull’altare di insolenti e corrotti
Capi dello Stato, che sono riusciti a trasformare questo Paese intero in un altare su cui sacrificano i figli di altre persone al dio della morte. Bambini, feti, neonati vengono quotidianamente buttati a sangue freddo nel regno dei bambini morti che cresce ininterrottamente sotto i nostri piedi. E nessuno è colpevole delle loro morti; nessuno viene mai punito per l’assassinio di un bambino palestinese. lo Stato si prende cura di quelli che lo servono, qualche volta. Altre volte sacrifica persino loro, con lo stesso sangue freddo e per le stesse ragioni.
E gli assassini? Che ne è di loro? Sanno di aver commesso dei crimini? Si girano e si rigirano nei loro letti la notte? Sono tormentati dalle immagini dei piccoli corpi che si contorcono e cadono sotto i loro proiettili, bombe e granate? Probabilmente no. Non conosciamo nessun caso in cui qualche soldato si sia costituito ed abbia espresso rimorso per le sue azioni. Questo è il più grande successo del sistema educativo israeliano: la distinzione tra sangue e sangue, tra bambino morto e bambino morto, e inculcare la credenza certa che l’assassinio dei palestinesi e dei loro amici non è un crimine.
Chiunque si arruoli nell’esercito sa questo ed è preparato a questo. Metà della nazione! Quanti milioni ci sono in metà nazione? Quanti milioni di giovani uomini e giovani donne se ne stanno semplicemente impassibili di fronte al pianto di un bambino, all’agonia di una donna in travaglio, agli appelli di un vecchio e alla morte di migliaia di persone innocenti? Quanti milioni di persone non hanno mai imparato a rifiutare ordini così platealmente inumani anche se legali, secondo le leggi razziste del loro Paese, e a dire no ai capi corrotti e ai generali assetati di sangue?
Ben fatto, Forze di Difesa Israeliane! Ben fatto, educazione Ebraica Israeliana, che è riuscita quasi perfettamente ad inculcare i valori del razzismo quasi senza alcuna opposizione.
E se mio figlio Yigal volesse davvero partecipare ai programmi militari che vengono imposti agli studenti delle scuole superiori a partire dal terzo anno, o, Dio non voglia, arruolarsi nell’esercito di occupazione e sevizie, vedrei questo come un tremendo fallimento dell’educazione. Un terribile fallimento del compito materno. E se io non faccio tutto quello che posso per evitare che lui, a diciotto anni, diventi un assassino o un cadavere, so di avere tradito lui e la mia vocazione di madre.
Nurit Peled è insegnante, traduttrice, scrittrice e madre israeliana. Attivista per la pace tra Palestina e Israele, nonostante l'assassinio di una sua bambina in un attentato terroristico. Nel 2001 ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per i diritti umani.
(vi ricordiamo l’intervento che Nurit Peled tenne a Siena di cui potete ascoltare l’audio)tradotto dall’ebraico da Mark Marshall
Originale ebraico: http://www.kibush.co.il/show_file.asp?num=21597
traduzione in inglese: http://www.kibush.co.il/index.asp
traduzione italiana di Cecilia Gabriella Gallia
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