Le inchieste, spesso, quando ci sono, sono ostacolate con ogni mezzo o vengono insabbiate per garantire un'arrogante impunità all'esercito israeliano, ammazzando una seconda volta quei bambini e rinnovando il dolore di madri, di padri e di tutto il popolo palestinese che assistono impotenti alla distruzione di ogni senso di giustizia e della speranza di dare un volto a chi ha ucciso e continua ad uccidere.
Come per Abir, 11 anni, figlia di Bassam Aramin, -ex prigioniero politico e ora membro dei Combattenti per la pace, organizzazione di ex attivisti palestinesi e di ex soldati israeliani- assassinata, lo scorso 8 febbraio, da un proiettile che l'ha colpita alla testa, mentre usciva dalla scuola di Anata, Gerusalemme Est. Per le autorità israeliane, smentite dalle evidenze e dagli esami medici, non è sicuro che la bimba sia stata uccisa da un proiettile o da una pietra.
Quelle famiglie in lutto si aggrappano allora disperatamente alla memoria del figlio perduto, ma la povertà di Gaza è tale che spesso non si possiedono videocamere o macchine fotografiche per documentare. Non ci sono filmini che riprendono i primi passi di Yahya Ramdan Abu Ghazala, 10 anni, né di Mahmoud Abu Ghazala, 12 anni, e neanche della cugina Sara, 10 anni. Non ci sono foto digitali scaricate sul computer o sui telefonini ad alleviare -se possibile- lo strazio delle madri. A loro rimangono spesso le immagini immortalate dai fotoreporter di Gaza a tragedia conclusa, quando i corpi dei figli sono già senza vita e i volti ricoperti di sangue. Gaza non è una prigione -come siamo soliti definirla- perché il milione e mezzo di persone che la abitano non sono dei criminali in attesa di scontare una pena, sebbene vengano punite collettivamente e ingiustamente, ma una gabbia senza ossigeno né risorse per la popolazione civile che solo di rado e discrezionalmente viene aperta per introdurre cibo e aiuti sufficienti appena a non farla morire di fame.
La Conferenza Internazionale Onu della Società civile in sostegno della pace israelo-palestinese, ospitata dal Parlamento europeo di Bruxelles il 30 e il 31 agosto, ha suscitato polemiche e una protesta formale da parte delle Autorità israeliane e di alcuni deputati. Ma la Conferenza alla fine si è tenuta ed è stato un importante esempio di democrazia dal basso e partecipazione, in cui associazioni, sindacati, deputati e molti rappresentanti della società civile hanno ribadito il bisogno di una lotta comune per il rispetto della legalità internazionale e ricordato all'Europa e alla Comunità Internazionale che il rispetto dei diritti umani non può e non deve rimanere solo lettera morta.
*Vice Presidente del Parlamento Europeo
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