giovedì 12 luglio 2007

I 10 a Blair: difendere Israele, parlare con Hamas

Umberto De Giovannangeli. l'Unità. 10/07/07. NON È SOLO la presa d’atto del fallimento della Road Map. Non è solo la «sepoltura» della logica che sottese gli accordi di Oslo-Washington. Non è solo la riproposizione di un generico auspicio per una pace fondata sul principio di due Stati. La lettera dei ministri degli Esteri dei dieci Paesi mediterranei dell’Ue, indirizzata all’inviato speciale del Quartetto, l’ex premier britannico Tony Blair, è qualcosa di ben più «pesante» sul piano politico. È una «sfida di pace» rivolta a Israele e ai Paesi arabi. È un salto di qualità nella determinazione di una partnership euroamericana per la pace e la sicurezza in un’area nevralgica del pianeta quale il Medio Oriente. È la prefigurazione di un impegno sul campo - a Gaza come in Cisgiordania - che bissi quello in atto nel Sud Libano. Non solo principi, dunque. Perché la forza di questa lettera d’intenti è nell’indicare i punti chiave di una nuova offensiva diplomatica della quale l’Europa vuol essere protagonista: un anno dopo il Libano, il conflitto israelo-palestinese. Se c’è una logica che sottende i «quattro obiettivi alla nostra portata» per la pace in Medio Oriente, essa si avvicina di molto a quella che permea l’Iniziativa di Ginevra, il piano di pace messo a punto da politici, militari, intellettuali israeliani e palestinesi. «La lettera dei dieci ministri degli Esteri europei offre un contributo di grande rilevanza per il rilancio, su basi nuove, del processo di pace israelo-palestinese», dice a l’Unità Yossi Beilin, leader della sinistra pacifista israeliana, che dell’Iniziativa di Ginevra è stato tra i massimi artefici. «Questa lettera ribalta il gradualismo di Oslo e chiarisce da subito quale dovrà essere lo sbocco del negoziato», gli fa eco Yasser Abed Rabbo, consigliere politico del presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), assieme a Beilin l’altro promotore di «Ginevra».
«Lo status quo che prevale dal 2000 non porta a nulla» e «le condizioni troppo rigide che avevamo l’abitudine di imporre come preliminari alla ripresa del processo di pace non hanno fatto altro che aggravare la situazione», rimarcano nella lettera i ministri di Italia, Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia e Spagna. Nel ricordare che la situazione attuale offre delle «opportunità» i ministri ricordano «per prima cosa la presa di Gaza da parte di Hamas». Da questa sconfitta può nascere una speranza. Il rischio di guerra civile in Cisgiordania, le minacce della divisione di fatto della Palestina e del ritorno degli scenari giordano ed egiziano di prima del 1967 «possono effettivamente dare uno scossone», afferma la lettera, rilevando inoltre quale «altro motivo per sperare la determinazione dell’Arabia Saudita, Emirati e Qatar a fianco dell’Egitto e della Giordania». «Questi due punti, caro Tony, - proseguono i ministri - ci autorizzano a ridefinire» quattro obiettivi che - si precisa - «sono alla nostra portata».
Quattro punti per una svolta diplomatica: quattro punti tutt’altro che «ecumenici». Quattro punti che seppelliscono, in un colpo solo, la Road Map e Oslo. Primo punto: offrire «una vera soluzione politica ai popoli della regione. Questo passa attraverso negoziati, senza preliminari, sullo statuto finale, salvo che il percorso avvenga per fasi successive. Comprendendo le questioni di Gerusalemme, i rifugiati e le frontiere, questi negoziati «permetteranno di fissare un obiettivo condiviso e realistico».
Secondo punto: «Prendere in considerazione il bisogno di sicurezza di Israele. Vale la pena esaminare l’idea di una forza internazionale robusta del tipo Nato o Onu capitolo VII», che avrebbe «ogni legittimità ad assicurare l’ordine nei Territori e a imporre il rispetto di un necessario cessate il fuoco».
Terzo punto: «Ottenere da Israele provvedimenti concreti e immediati a favore di Mahmud Abbas, tra i quali il trasferimento della totalità delle tasse dovute, la liberazione di migliaia di prigionieri che non abbiano le mani macchiate di sangue, la liberazione anche dei principali leader palestinesi per assicurare il ricambio in seno a Fatah, il congelamento della colonizzazione e l’evacuazione degli insediamenti selvaggi». Liberare i principali leader palestinesi: il nome non viene fatto, ma il riferimento è chiaro: Marwan Barghuti, leader di Fatah in Cisgiordania, l’uomo-simbolo della seconda Intifada.
Quarto punto: «Non spingere Hamas a rilanciare. Questo implica riaprire le frontiere tra Gaza e Egitto, facilitare il passaggio tra Gaza e Israele, e incoraggiare l’Arabia Saudita e l’Egitto, come il presidente Mubarak ha proposto, a ristabilire il dialogo tra Hamas e Fatah». Ristabilire il dialogo: il che significa non considerare Hamas parte della nebulosa jihadista, ma un pezzo consistente della società palestinese che non può essere cancellato. Forza di pace schierata nei Territori (di fatto anche per difendere Israele). Dialogo con Hamas. Liberazione dei leader di Fatah. Sono proposte concrete, non solo principi.

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